Come reagiamo ai cambiamenti che perturbano inaspettatamente le nostre vite e abitudini?

Il virus ci destabilizza. Ognuno ha un suo particolare modo di reagire ed affrontare i cambiamenti non programmati. Questo evento, che segna una fortissima discontinuità rispetto alla normalità, evidenzia e fa emergere schemi di reazione di cui forse non abbiamo piena consapevolezza. 

Prendendo qualche spunto dalle neuroscienze e dalla teoria dei tre cervelli di Paul Donald MacLean possiamo individuare alcuni pattern ricorrenti. 

La semantica della difesa, il cervello rettiliano

L’emergenza attuale, con il rischio evocato e concreto di malattia e morte, risveglia e attiva quelle parti del cervello ancestrale, chiamato rettiliano o primitivo, the lizard brain, che portano a reazioni istintive di difesa, del tipo fight-flight-freeze.

I decreti ministeriali ci danno regole ed indicazioni per affrontare l’emergenza, ma ognuno interiorizza e mette in atto modalità di risposta soggettive e differenti. Come se avessimo una lente di ingrandimento possiamo osservare più da vicino il nostro pilota automatico che in questi giorni è molto sollecitato, e spaventato.

Ad esempio, io noto come a casa in questi giorni mi sento molto più dispersiva del solito. Inizio più cose assieme senza finirle. Mi distraggo. Vado continuamente altrove. Questo scritto, sono giorni che ci lavoro senza arrivarne a capo. Mi riconosco la modalità flight: non scappo fisicamente in montagna, ma la mia capacità di attenzione è fuggitiva e molto frammentata. 

Viene meno il senso di comunità

Di fronte ad un colpo di tosse c’è chi reagisce con rabbia, chi in panico si immobilizza, chi immediatamente si allontana.

La mascherina protettiva assurge a simbolo della separazione tra noi e gli altri. Invidiamo chi ce l’ha. Ci si isola e isoliamo gli altri, potenzialmente infetti e untori. 

Se il profilattico come forma di prevenzione dall’HIV ancora oggi induce resistenza, la mascherina invece va a ruba.  

In altri prevale invece la parte ribelle e antagonista. Intolleranti alle regole, alla gestione dall’alto che minaccia la libertà personale. Insofferenti e claustrofobici, minimizzano i rischi,  sfidano il sistema, semplicemente ed irresponsabilmente oltrepassando i muri di casa.

Oppure ci immobilizziamo, ed emotivamente ci congeliamo, non sentiamo più niente. In trance stiamo sul divano di fronte alla tv,  sconnessi a noi e agli altri,

La regolazione morale, il cervello limbico 

In solitudine ed isolamento, succede poi che ci giudichiamo e colpevolizziamo. Per regolare i nostri biechi istinti primordiali, entra in azione il cervello limbico quello più morale, sociale, normativo e giudicante.

Ci rimproveriamo per essere usciti a cena ed aver contribuito alla diffusione del virus; per aver invitato gli amici a cena, nelle passate settimane, e non aver pensato responsabilmente ai nostri anziani. Ci sentiamo in colpa per esserci ritirati e assecondato la spinta depressiva che ci fa stare inebetiti davanti all’ennesima puntata dell’ottava stagione di Mad Men. Ci angosciamo perché ci siamo avvicinati all’anziano di cui ci prendiamo cura.

Siamo in preda al dubbio esistenziale su cosa sia opportuno,  la sterile solitudine o la contaminazione solidale?

Non siamo in guerra, è vero. Non siamo in Siria, né migranti in balia delle onde. Siamo però nel nostro piccolo, spaventati, sopraffatti. Il pericolo è evidente ed oggettivo, aleggia oltre la soglia di casa. 

Come ritrovare un equilibrio, che porti a decisioni consapevoli senza essere sopraffatti dall’ansia che circola in questi giorni, a casa come al lavoro?

Come non farci prendere da un eccesso di reattività conseguente allo stato di emergenza? 

Semplicemente respirando. Semplicemente consapevoli di ogni respiro. Posso creare uno spazio per un pensiero integrato, adulto e consapevole di sé.

Con la pratica del respiro consapevole, regolo e stabilizzo emozioni e pensieri. Attivo quella parte di cervello più evoluta, quella che risiede nella neocorteccia.

Il primo passo è quello di stabilire una relazione sana con se stessi e le proprie emozioni.

La pratica del respiro consapevole, (cfr gli studi dello psichiatra e neurobiologo Dan Siegel), promuove  l’integrazione e la comunicazione delle diverse componenti del cervello. 

Come posso nutrire  la mia paura, la mia apatia o la mia irrequietezza?

Proviamo nella nostra intimità a riconoscere le nostre reazioni istintive. Prendiamo contatto con quello che si presenta proprio adesso. Stendiamo un tappeto rosso ed accogliamo, con un benvenuto, quello che proprio qui ed ora stiamo sentendo. Immergiamoci nella nostra verità. Immedesimiamoci nel nostro respiro.

Possiamo utilizzare questa sospensione, questa pausa forzata, per aggiungere informazioni e coordinate alla nostra personale mappa emotiva. 

Accogliamo nella dimora della consapevolezza qualsiasi stato emotivo, comprendendo eventualmente anche il non sentire nulla. Non giudichiamoci, mettiamoci in ascolto.

Prendiamo contatto con il corpo e le sue sensazioni. Radichiamoci, nel momento presente. Respiriamo sapendo di respirare. Respiro dopo respiro. Facciamoci accarezzare dal respiro consapevole. Quando ci smarriamo nel turbinio mentale o nell’apatia, torniamo a quel contatto. Torniamo a Casa.

Offrirsi un’attenzione intenzionale e non giudicante è un gesto di cura che possiamo dedicarci, proprio in questo momento.

La mente frammentata, accolta, e riconosciuta, può ricomporsi in uno spazio più ampio che la contiene, quello della consapevolezza.

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